08 marzo 2004

Il valore del sorriso

Per un periodo della mia vita ho fatto meditazione zen. Dalle 6 alle 8 del mattino. Due palle! Fermo lì, seduto di fronte al maestro, che stava immobile e tranquillo. C'erano le zanzare che mi pungevano, e il maestro mi colpiva ogni volta che tentavo di scacciarle. Non ce la facevo più, finché un giorno scoprii il segreto: vedete qui, agli angoli delle labbra? Abbiamo queste, si chiamano "commessure". Ecco, basta sollevarle un po', così, basta sollevarle solo un pochino e tutta la vita cambia completamente. Ho scoperto che con il sorriso si può sopportare qualsiasi cosa.
Girando il mondo ho visto tante raffigurazioni di Buddha, tutte diverse salvo per una cosa: il sorriso. Quello che resta del Buddha è il sorriso. Proprio come il gatto di Alice.
Così parlò Alejandro Jodorowsky (cito a memoria quel che ho sentito con le mie orecchie l'altra sera alla Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano). Attraverso il sorriso si è voluto presentare, chiedendo il permesso di raccontare tre storielle prima della presentazione del nuovo libro. È senz'altro un ottimo intrattenitore questo settantacinquenne dalla pelle distesa e luminosa come il bianco dei capelli che lo aureolano.

Alla sua comparsa, di colpo nessuno ha più sentito il fastidio della lunga attesa in piedi tra la calca che si era formata già un'ora prima dell'appuntamento. Alla libreria ero arrivato con un anticipo per me inusitato e che non sperimentavo più dai tempi in cui andavo allo stadio per le partite di Coppa dei Campioni (altro che cempionsliig), eppure erano già tutte occupate le file di sedie approntate davanti al palco, per fortuna abbastanza rialzato da consentire la visuale anche a noi che affollavamo le corsie di libri e CD.

Tra un racconto e un chiste, il nostro "psicomago" sciorinava con apprezzabile leggerezza concetti attinenti alla sfera mistica da tempo praticata (con pienezza: "alchimia significa materializzazione dello spirito e spiritualizzazione della materia").
Accennando alla sua esperienza di lettore di tarocchi, attività che svolge sempre gratuitamente, ha riferito di essersi reso conto che il più delle volte la gente non vuole davvero essere aiutata, perché ciò smuoverebbe troppi equilibri. "Quello che cercano è un'aspirina spirituale". Col tempo, si è risolto a utilizzare la bontà, a cercare di aiutare senza giudicare ("il giudizio è menzogna, pensate al francese jugement, juge-ment = il giudice mente").

[A proposito della divinazione, nel libro Psicomagia. Una terapia panica spiega il suo rifiuto di predire il futuro, in quanto ogni predizione si proporrebbe come modello da seguire, mentre il vedere oltre deve servire a capire e far capire quali siano i nodi personali da sciogliere.]

Un'altra storiella fa da pretesto per ricordare che tutto quel che facciamo è possibile solo grazie al leone che sta alle nostre spalle.
[Da quanto ho inteso, alludeva a un concetto analogo a quello del "sé superiore"*.]
In tale frangente ha richiamato la cabala (o Kabala o Qabbalah), "ciò che è ricevuto". Io stesso sono qui a dirvi delle cose e non so perché le sto dicendo, ma sono sicuro che a qualcuno serviranno.
[Un po' come dire che le parole si scelgono da sole i destinatari, vero?]

Parlando dell'arte, ha distinto tra la creazione ("roba da bambini") e l'arte sacra, nella quale l'artista riceve e comunica.
Da chi riceve? La risposta l'ha fornita implicitamente con un'altra storiella, secondo le cui conclusioni dentro di noi abbiamo un tesoro, un dio interiore, che ci rende re.

Dopo il lungo prologo cui ho accennato, ha menzionato il titolo del libro che costituiva la ragione ufficiale della sua presenza lì. La danza della realtà, dice con questa autobiografia, nel suo caso comportò l'attraversamento di una terribile depressione per la morte di una persona cara, che lo condusse a considerare l'arte come terapia. Terapia che serve per sé e per gli altri, perché aiutando gli altri a guarire guariamo noi stessi.
Ha poi regalato qualche riferimento alla sua infanzia: "Ho sofferto il peggiore dei mali: un padre terribile e una madre assente, la mancanza di una qualsiasi preparazione religiosa e il disprezzo per i valori umani". E ancora: "Mio padre si vestiva da Stalin e quando avevo 4 anni mi disse: 'Si muore, si imputridisce e tutto finisce'. Per questo diventai nevrotico e lo rimasi fino a 40 anni."
[Ripensando al nero trauma in cui affondava Santa Sangre, mi pare ci sia stata almeno una resurrezione.]

Gilga nei commenti chiedeva di porre un interrogativo sul "superamento del quarto varco", ma la richiesta è giunta in ritardo e devo purtroppo dirti che di sogni non si è parlato.
L'unica domanda posta dal pubblico riguardava la figura del matto nei tarocchi. Jodorowsky l'ha descritta così: il matto procede seguito da un cagnolino ed è l'unico a non avere un numero che lo definisce. Il matto è l'essere essenziale, colui che riconosce e lascia esprimere la propria energia divina, seguito dall'ego infantile. Ego che non va assolutamente soppresso, ma che va messo al nostro servizio.

Tra gli innumerevoli spunti emersi, ha ricordato anche l’importanza dell’atteggiamento nei confronti della vita. Raccontando l'ennesima storiella (in effetti si è ben guardato dal limitarsi alle tre annunciate) mima l'incazzatura di un tizio che ha in mano il biglietto vincente della lotteria. Gli chiedono perché sia arrabbiato e lui risponde: "Avevo comprato due biglietti: questo ha vinto milioni, ma quest'altro non ha vinto niente!"

Se la formula segreta è il sorriso, ridere è parte irrinunciabile della natura umana e non conosce vincoli legati alla sacralità, come illustra l’episodio biblico in cui a Sara e Abramo viene annunciata la nascita del primogenito Isacco (colui che fa ridere). Sara, novantenne sterile, all'Arcangelo aveva risposto con una risata.
[Questa l’avevo già sentita da Moni Ovadia]

* sono argomenti che per certi versi hanno già trovato una vocenarrante altrove, ma per stavolta se ne parla qui, mica potevo deludere i commentatori...
-.-.-.-.-.-.-

Dopo la conferenza sono andato a chiacchierare davanti a un aperitivo con tre persone che per caso si trovavano accanto a me, per caso da solo. Con le affascinanti Nadia e Manu e l'intrepido Gianni sono stato bene: alla fine tutti quanti abbiamo convenuto ridendo che una piccola psicomagia si è compiuta anche in quei momenti di condivisione e benessere reciproco per l'apertura di canali comunicativi tra sconosciuti esseri umani.

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a cura di Giulio Pianese

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