20 maggio 2010

Seme di mela

Raccoglilo e prova ad accarezzarlo prima di gettarlo nell'umido. Non t'aspettare chissà cosa, turbinio d'artificio o che, ma sentilo, guardalo, ascoltalo.
Quel che conta è spesso fatto di sfumature, da cogliere tra le righe, da captare nelle cromie di passaggio tra le vibrofrequenze, da percepire sui polpastrelli tra una carezza e l'altra.
In un seme, quel che conta è fatto soprattutto di futuro. Una presenza timida e minuta che si fa potenza come sospensione di senso. Un'attesa muta e tranquilla.

In teoria: perché in verità, un seme è anche il ricordo della mela appena mangiata. Della fisicità organica, della meraviglia di esserci materialmente.
E nel contempo, il simbolo della volontà di rimanere nell'Eden, o di tornarci. Di tornarci a buon diritto, ritrovando un proprio personale paradiso, una volta imparata la capacità di perdonarsi comprendersi amarsi, cellula per cellula per cellula, dove risplenda parcellizzata la luce d'una divina umanità.

Semino di mela, le portavi scritte talmente in piccolo queste cose che per leggerle mi son dovuto affidare al sussurro di un cricetino, che ora però ti vuole mangiare: non te ne avere a male, né tu né il potenziale albero.


a cura di Giulio Pianese

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