30 agosto 2011

Passo dopo passo

Un giorno camminavo e pensavo a quel che avevo addosso: la maglietta faceva parte di uno stock dismesso, anzi mai messo, da mio cognato; i pantaloni erano il lascito del papà di una persona assai cara, come pure il maglione; il cappellino era in prestito, giacché il mio l'avevo perduto in una ricevitoria; il cellulare era di un'amica che non lo usava più, essendo il mio andato in frantumi nell'urto con un tavolino a un aperitivo di nozze; lo zaino arancione, uno splendido regalo; anche il marsupio mi era stato regalato, dai miei figli; le scarpe, da mio padre; insomma, solo le mutande le avevo comprate io, al mercato rionale.
Ebbene, quel giorno camminavo e mi sentivo leggero. Povero, sì, ma leggero e sorridente. Le condizioni migliori per camminare, a pensarci. Quel giorno, come pure altri giorni, le salite non mi sono pesate, anzi m'hanno soddisfatto e gratificato. Sudare le sette magliette diventa bello se l'occhio può spaziare, se il respiro può espandersi, se il cielo s'avvicina e questo è capitato più volte. Più volte la gioia dell'immensità d'intorno era incontenibile per il torace da cui pulsava per uscire, vorace del canto del sole sulle rocce, suoni misteriosi nell'apparente silenzio. Momenti belli, ancor più se riesci a condividerli con il sangue del tuo sangue.


a cura di Giulio Pianese

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