14 marzo 2012

Le trote e una dote

In questo periodo ho sottomano I 49 racconti di Hemingway (purtroppo in una traduzione opinabile, d'altronde si tratta di un'edizione euroclub scovata a casa dei miei). Nei giorni scorsi ne ho letto uno di quelli con Nick protagonista, Il gran fiume dai due cuori. La sua avventura in solitaria è una bella boccata di freschezza e un susseguirsi di sensazioni fisiche derivate da una serie di gesti, di azioni, di scelte. Semplicità e autenticità sono gli attributi di un ritorno a sé attraverso il mondo vissuto in solitudine, con una diretta interazione tra uomo e natura che presuppone abilità tecniche e capacità di adattamento, ma soprattutto la grande dote di stare bene con sé stessi.

È questa una dote che talvolta ci si riconosce a vanvera: io, per esempio, sostengo automaticamente di star bene con me, però poi mi accorgo di trovarmi troppo spesso proiettato all'esterno e di non volere far sempre i conti con la mia "anima" (questo mi ricorda la volta in cui sentenziarono: sei estroverso con gli altri, ma introverso con te stesso). Non che intenda forzare eccessivamente le mie predisposizioni, che pure tante gioie mi portano, ma non volendo smettere di imparare, osservo e accarezzo anche quel raccoglimento, riconoscibile in alcuni personaggi e nelle persone un po' selvadeghe.

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Grazie per aver letto le mie parole, sarò lieto di leggere le tue.



a cura di Giulio Pianese

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