30 dicembre 2012

Ball drop

Che fossero tutti partiti se ne accorse dalla facilità di parcheggio. Quasi tutti partiti, magari alcuni stavano ancora preparando i bagagli. Si apprestavano a scendere i gradini a ritroso con la valigia in mano, pronti, al primo accenno di presenza estranea nell'androne, a risalire come se invece stessero rientrando. Nessuno ammetteva di voler disertare, ma di fatto il deserto si stava piano piano creando, con una discrezione quasi clandestina, come se un silenzioso tam-tam partito dalle personalità più paurose stesse ora allertando anche gli insospettabili, quelli fino a ieri tra i più ragionevoli e affidabili.
Il timore, non detto, era quello di una trasmutazione e sebbene se ne conoscesse la natura simbolica e convenzionale, il passaggio spaventava e non intendevano affrontarlo. Non lì, quantomeno, in quei luoghi extraurbani connotati dall'indeterminazione, non così, da elettroni nell'orbita indistinta del grande nucleo cittadino. Il passaggio da attraversare, si vociferava, sarebbe stato di natura temporale e per quantico istinto, se non per erudizione, percepivano la propria discontinuità e il rischio di non esserci al momento giusto, perché, dicevano, non era una cosa certa, ma sarebbe stata una questione di probabilità e sebbene in pochi fossero contenti della propria condizione, nessuno avrebbe osato lasciarsi sfasare in una realtà parallela.
Mentre parcheggiava, immaginò la scena di un'enorme sfera pronta a calare sulla folla spaurita e subito dopo ne mutò la raffigurazione in una sparuta pluralità di superstiti, dei pochi non contagiati dalla serpeggiante follia. Poi la fantasia cambiò e si avvide della foggia geodetica del corpo sospeso e della sua dimensione e dell'immensa sua forza gravitazionale. Per questo, dunque, con un senso di incomprensione dovuto all'inafferrabilità dell'argomento, salì in casa e a sua volta si mise ad allestire i bagagli, preparandosi per non andare da nessuna parte.

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a cura di Giulio Pianese

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