29 marzo 2013

Pausa pranzo senza pranzo

Si lasciò guidare dalla voglia di non rincorrere e percorse i camminamenti lungo il torrente cittadino, poco a monte della confluenza con il fiume impetuoso dal nome bilingue. L'aria era fredda dopo aver sfiorato il muso semibiancastro delle montagne circostanti, ma non erano poche le persone a passeggio, attente a non invadere la ciclabile nonostante le distrazioni delle fioriture e delle nuove e vecchie architetture. I pezzi della città e della provincia circostante si ricomponevano in un puzzle incessante e mai completo malgrado le lunghe frequentazioni, forse un po' troppo intermittenti. Tra un ponte e l'altro ci fu un lieto inatteso incontro, chiacchiere insaporite con affettuosa levità d'antica data. Tra un altro ponte e l'altro, uno di legno, bello dalla volta in cui il luccichio delle acque richiamò baci dalla luna e li riflesse su un terrazzo in libera nudità. Oltre il ponte, la città coi suoi prati, la città coi suoi mercati, le voci e i rumori ovattati ma pieni di colore, le voci e i rumori assenti ma pieni di ricordi, ma piene di racconti. Le vie e la gente e le vie e i negozi e le vie e i banchi e le vie e i bar e intanto il cuore si gonfiava e gli occhi lambivano golosi ogni scorcio e ogni scorcio s'ingigantiva nel tempo e nello spazio, occupando il respiro, tutto, e il sentire, troppo. Fu allora che si fermò esitante, fu lì che smise di riesplorare, perché sarebbe stato esorbitante il carico di emozioni note e ignote da reggere, perché alla solita fruizione malinconica del vivere si congiungeva un'ipersensibilità da carni risvegliate, da spirito rievocato, un senso del tempo in espansione infinita dentro il torace, come petali nascenti insopportabilmente belli e con una spina per uno. Riacquisì il passo della via del ritorno, tenendo sotto controllo ogni possibile sfasamento cronologico e rimandando ad altro momento l'eventuale successiva suzione di nettare dell'essere. Quasi una negazione di sé e del vivere, ma in quell'istante utile e necessaria. Una sospensione anestetica non gli avrebbe fatto male. E poi, pensò, per consolarsi ci sarebbe comunque stato di lì a poco il ballo, con il suo effetto di lucido stordimento, di sano estraniamento, di vigile presenza, di autentico qui e ora, qualunque cosa fosse successa. Quasi qualunque.

1 commento:

Grazie per aver letto le mie parole, sarò lieto di leggere le tue.



a cura di Giulio Pianese

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