31 ottobre 2013

Concatenazioni

Halloween, dice, e subito penso "31 ottobre", e alla faccia del Paio tonda che ride per la vita e il compleanno e le zucche. Arancioni e con le facce, le zucche, come in quella festa nel suo cortile. Alla zucca, penso, e ai relativi tortelli, specialità mantovana, per l'appunto, che però recentemente avrei potuto gustare al desco tanguero di un'ottima cuoca salentina. Ho rinunciato, invece, avendo già optato per una serata a teatro. Serata e applausi ben spesi per lo spettacolo Antropolaroid, di e con Tindaro Granata, capace di moltiplicarsi in scena per dar vita a un'intera saga familiare dispiegata su quattro generazioni e di farlo con bravura in modo interessante, molto divertente e a tratti toccante. Famiglia è quella che si allarga nel tempo passato e futuro, quella che al presente ritrovi nello spazio vicino e lontano, è quella cui corri incontro mettendoti in viaggio. Famiglia e piezz'e core: coi miei figli sarò domani e per tutto il ponte d'Ognissanti. Dico "Ognissanti", che poi ricorre nell'etimologia di Halloween o Hallowe'en, però in realtà mia cugina mi ha chiesto se vado giù "per i morti". Ci vado, ci vado, per i morti e per i vivi, ad abbracciare più in là del tangibile la linea del tempo, sotto quelle colline variopinte che tanto mi rimasero impresse da piccolo. Ci vado nonostante mi perda l'opportunità di godermi almeno un pezzo di ZuccaTangoFestival, che furoreggerà a Milano in questi giorni. Zucca, tango e festa si trasformino in un bell'augurio per tutti, anche perché, non so come mai, mi sento come se fossimo alla vigilia di qualcosa. Ah, certo, la vigilia d'Ognissanti, ma forse anche altro.

Aspettando Pivot

Grande Marzia, che si aggiudica ancora una volta il plauso per la migliore definizione di un passo tanguero al corso di Antonio e Anna.
In questo caso si trattava di una variante della sacada, che ci viene insegnata ora e che imparerò forse tra un anno, in cui il cavaliere deve (come sempre, peraltro) ascoltare in modo particolare la dama, attenderne il movimento e cogliere l'unico momento opportuno per completare il proprio.

30 ottobre 2013

25 ottobre 2013

Quasi a tracciare un senso

I piccoli gesti che c'insegnarono da piccoli sono quelli che riacquistano sapore se glielo dai tu, colorandoli di consapevolezza nel momento in cui ti accorgi di replicarli in automatico. Tipo nel tenere il lembo della manica mentre t'infili un maglione sopra un altro indumento a maniche lunghe. Proprio come quando ti vestivano, da piccolo, dopo il bagno, gli asciugamani e il borotalco.
La sensazione bella non è dettata da nostalgie o rammarichi, bensì da una sorta di percezione unitaria del sé, attraverso tempo e spazio, quasi a tracciare un senso. Illusorio, forse, ma né più né meno delle costellazioni: disegni immaginati da occhi e menti umane, solchi di bellezza tracciati tra le luci, e luci in sé.

21 ottobre 2013

Puntate

Da qualche parte una volta lessi: "Action expresses priorities". In altre parole: conta quel che fai, ed è quel che fai che conta per te, non altro.

La riflessione è immediata, facile e quasi banale sul proprio vissuto, per quanto possa risultare utile come indicazione o come stimolo.

Diventa invece drammatica quando la si applica ad analizzare comportamenti estremi, tipo quelli di chi giocando d'azzardo si gioca tutto quanto, di fatto escludendo anche i propri cari dall'orizzonte del proprio interesse e considerazione.
È quella la vera malattia: non saper più riconoscere che cosa vale davvero, non riuscire a distinguerlo dal truffaldino godimento del brivido effimero e frustrante, quello di chi crede di poter vincere mentre sta perdendo tutto.

Viene una rabbia, a pensarci, rabbia che raddoppia a ripensarci, rabbia che si fa sconforto constatando, sia pure a distanza, i danni enormi procurati da tali comportamenti.

Smettila, pirla, guardati intorno: c'è di meglio, ti dico, e non è un azzardo.
E tu, se sei uno spacciatore di febbre da gioco, fatti un esame di coscienza e comincia a spegnere qualche slot machine.
Come al solito, un piccolo passo può essere l'inizio di un lungo cammino.

20 ottobre 2013

Senza fiatare

Probabilmente si tratta di uno degli ordini più deleteri impartitici da piccoli. Fare qualcosa "senza fiatare" significava ovviamente "senza opporsi", "in silenzio perfetto", ma fin troppo spesso l'atteggiamento inconsapevolmente adottato è proprio quello di smettere di respirare, procedendo in apnea nello svolgere qualsiasi compito. Gli esempi seguiti in modalità automatica sono quelli di madri ansiose o di adulti talmente concentrati su uno specifico gesto da sospendere l'attività respiratoria. Trattenere il respiro come garanzia di precisione è in realtà una truffa, perché si aumentano le tensioni e il risultato a lungo andare sarà deleterio. Prova semplicemente a non smettere mai di respirare e quasi tutto si alleggerirà. Il ritmo del fare sarà più vivo che stancante e anche mangiare sarà più appagante se lo farai inspirando ed espirando anziché senza fiatare.
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Nota: il suggerimento di respirare mentre si mangia l'avevo letto da Flounder, ma non trovo in quale suo post.

17 ottobre 2013

Tra le quali il cincischiare

O perché ci sono troppe cose buone da mangiare, cose belle da fare, motivi per cincischiare, o perché ci sono mancanze da colmare di cui consolarsi, sta di fatto che i buoni propositi si frantumano come terra secca o si spetasciano come manciate di fango scagliate contro un muro intonacato. Spetasciarsi rende meglio l'idea rispetto a spiaccicarsi; anche perché, auspicabilmente, non si tratta di una resa definitiva. Prima o poi ci si disciplinerà, prima o poi si tornerà in forma, prima o poi si ricomincerà a riordinare con puntualità e a pulire con solerzia. Forse, addirittura, un giorno ci si porterà avanti con le cose da fare, fino ad avere più tempo per le cose buone e le cose belle, tra le quali il cincischiare non troverà posto, tranne che una volta ogni tanto.

15 ottobre 2013

Cose di fuori casa

La settimana scorsa ho rotto il cellulare. Mi è caduto di piatto sull'asfalto, dalla parte del vetro, e la botta l'ha oscurato, pur senza fratture visibili. Da allora sto usandone uno vecchio che ho ripristinato: il Nokia 1100, la cui sigla in effetti ricorda il nome di un'auto d'altri tempi, quelli dei ricordi in bianco e nero.
Ovviamente ho perso l'accessibilità a gran parte della rubrica, nonché a qualche foto e ai messaggi archiviati. La perdita degli SMS pervicacemente conservati è una costante che si ripete a ogni incidente riguardante il telefonino. Non è la prima volta, infatti, che l'aggiornato aggeggino di turno cessa di funzionare, in modo più o meno traumatico, obbligandomi come soluzione d'emergenza a ricorrere all'antenato, apparentemente immarcescibile.
Come da quasi tutto quel che mi capita, cerco di trarre un possibile insegnamento e in questo caso mi pare quasi ovvio sintetizzarlo nella necessità di evitare l'eccessivo attaccamento a ciò che è stato, in modo che non funga da remora per le nuove navigazioni.
Non si tratta di dimenticare il passato, cosa che mi farebbe orrore in quanto grave perdita di esperienze vissute, bensì di superarlo. Superarlo sapendo che niente di ciò che conta andrà perduto, perché dall'essenziale non ci si distacca (* e **).

13 ottobre 2013

Cose di casa / 2

L'altro ieri mi sono svegliato con la gola secca. Un lampo intuitivo m'ha fatto allungare la mano verso il calorifero e ho avuto la conferma inattesa: il riscaldamento centralizzato era stato acceso con qualche giorno d'anticipo.
La cosa non mi è dispiaciuta, date le basse temperature di questa settimana, ma ho proceduto con una certa sollecitudine a riempire tutti gli umidificatori appesi ai termosifoni della camera e della sala, mentre il pensiero andava a Zico (al secolo, Arthur Antunes Coimbra).
Zico, per chi non fosse addentro a questioni di storia calcistica, era un bravissimo giocatore della nazionale brasiliana che nei primi anni '80 si trasferì in Italia per giocare nell'Udinese. Zico, per chi non fosse addentro a questioni di curiosità della cronaca paracalcistica, nei primi tempi della sua permanenza nel nord-est italico fu afflitto per un certo periodo da mal di gola e cefalea. Solo indirettamente i suoi malesseri erano dovuti al freddo clima locale: il fatto è che nessuno gli aveva spiegato di dover riempire d'acqua gli umidificatori dei termosifoni e lui, già sotto choc per lo sbalzo climatico dalle amenità della sempiterna estate carioca ai freddi del FVG, insieme alla sua famiglia patì per un po' le conseguenze di un'aria domestica troppo secca.
Memore di tale inconveniente, non manco mai di riempire d'acqua gli umidificatori.
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Bonus: i gol di Zico nell'Udinese (vedi in particolare quello spettacolare contro la Roma).

Cose di casa

Ho provato a fare il caffè seguendo le istruzioni della prima Moka Bialetti, trovate nello scorrevole e istruttivo Così mangiavamo. Cinquant'anni di storia italiana fra tavola e costume, di Stefania Aphel Barzini, ed. Gambero Rosso.
In verità, la n° 2 l'ho trascurata, utilizzando invece un caffè già in polvere, e forse per quel motivo il risultato non è drasticamente diverso, ma mi pare divertente elencarle così come apparivano all'epoca, in pieno boom, ovvero negli anni Sessanta del ventesimo secolo:
regola n° 1 Usarla ogni giorno: più la si usa, più buono viene il caffè.
regola n° 2 Macinare ben bene un caffè di ottima qualità e lasciarlo soffice nel misurino.
regola n° 3 Riempire la caldaietta solo fino al limite segnato e far bollire a fuoco basso, tenendo alzato il coperchietto (il condensamento di vapore rovina il caffé).
e... Gran finale! Non farlo "salire" tutto: togliere la Moka Express dal fuoco quando è piena solo per tre quarti. Attendere che si riempia completamente senza fiamma e poi servire: così sì che berrete un super caffè!

08 ottobre 2013

Risveglio

Si svegliò, ma forse non del tutto, giacché non avrebbe saputo dire con certezza né che ora e che giorno fosse, né dove si trovasse. Le possibilità erano molteplici: notte e luce si confondevano nella penombra delle ciglia non ben dischiuse, l'orientamento sbandava in preda alla sonnolenza residua, il luogo non si decideva a definirsi. Si ripromise di non allarmarsi e piano piano lasciò spaziotempo alla consapevolezza, emergendovi quasi per intero non molti istanti dopo. La situazione non era avversa e si risolse a fare tappa lì per vivere un pezzo di esistenza così come gli sarebbe toccato.

Si svegliò e non c'era alcun dinosauro lì, ma la sua assenza non lasciava scie di vuoto. Forse non era integra pienezza, ma non era nemmeno mancanza. Innanzitutto, perché non si mancava: sentiva di esserci e lo sapeva, a dispetto della marginalissima disgregazione in cui incorreva ogni volta. Ogni volta un minuscolo pezzo di sé, una manciata di briciole, si sgretolava al passaggio dimensionale, ma in fondo finora non aveva abusato del teletrasporto e riserve cellulari ne aveva a iosa. Anche stavolta, avrebbe saputo aspettare. Nessuna solitudine sarebbe pesata al suo divenire, non fintanto che avesse continuato a confidare nella possibilità di mantenere le principali linee di contatto energetico con i suoi pari. Non fintanto che avesse continuato a coltivare la speranza di ripristinare gli imprescindibili vortici di contatto energetico con i suoi cari.

Si svegliò solo grazie all'onda radio che saettava su un altro giorno senz'alba. Trovò calore accanto e se ne rallegrò. Qualunque cosa fosse, non aveva intenzione di rinunciare a goderne. Erano ere che non fluivano limitrofe al suo essere forti correnti benefiche. Su quel sasso in orbita il freddo non si limitava ad accarezzare, ma circoscriveva limiti a ogni eventuale slancio, mummificando quasi anche i pensieri. Quell'oggi, invece, circolava linfa, frizzava il nettare interiore.

Si svegliò e il dinosauro era di nuovo lì.

05 ottobre 2013

Ampiamente

È tutto un viaggio, che ci si muova o si stia fermi.
Lo è quando costeggi un fosso guidando un furgone lungo una stradina di campagna fidandoti di un navigatore prestato e riscoprendo ricordi che non sai. È allora che ti riesce il trucchetto del qui e ora, capace di escludere l'ansia da stress per riportarti al vivere, a vivere quel che ti tocca toccando a tua volta il meglio che ti si presenta in quell'ampio istante dell'ampio mondo.
Lo è quando rimani seduto su un divano scomodo a guardare un film in compagnia. Un film che si preannunciava altrettanto scomodo e che invece si rivela pienamente a portata di comprensione anche dei più giovani virgulti, oltre che davvero ricco di umanità. Un'umanità ampia, più ampia di quel che l'esperienza ti porta a conoscere direttamente, ampia quanto l'ampio mondo.

04 ottobre 2013

Il silenzio e le parole

Per il minuto di silenzio non ero a scuola, ma la mattina ne avevamo parlato un pochino. Mi ha colpito la compostezza e l'attenzione con cui hanno ascoltato e si sono interessate le alunne (e i due alunni) del nuovo settore di studi amministrativi della Mazzini mentre raccontavo le testimonianze di cui avevo udito ai giornali radio di RP. Forse perché non ci ho messo retorica e mi sono limitato a riferire fatti, perché ho lasciato il sentire tra le righe, o semplicemente perché era un raccontare che parlava di esseri umani.

02 ottobre 2013

Che cosa vuoi fare da grande?

A distanza di un bel po' di tempo, hanno pubblicato una mia frase su un sito divertente in cui ti chiedono: e tu? che cosa vuoi fare da grande? Ora non ricordo più che senso avesse di preciso quando l'ho scritta, comunque la riporto qui tal quale:
"Da grande voglio fare il telescopio astronomico, ma solo sei ore alla settimana."

Zu


a cura di Giulio Pianese

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