31 ottobre 2015

Frammenti

"Devi aver realmente sbattuto la testa se ti dimentichi che 'frammenti' è anche il titolo di una canzone che hai scritto con i Fragole e Sangue." Così commentò su facebook Luca Talamazzi dopo aver letto quel post.

Luca che in quella canzone piena di musica e di rumori suonava la chitarra. Gli altri erano mio fratello Beppe alla batteria, Maurizio al basso elettrico (in questo brano, suonato con l'archetto) e Aaron alle tastiere (che in anticipo sui tempi comprendevano un campionatore di suoni). In effetti, come dice spesso Babele Dunnit: "facevamo il suo bel casino".

Se ne hai voglia, ascoltala: Frammenti, Fragole e Sangue, 1989.
A me continua a piacere.

Le parole che cantavo erano queste:
FRAMMENTI

Nei miei sogni nei tuoi film
Nei tuoi occhi dentro il bar
Stessi ludi e musiche
Ma sola dentro te

Tra i tuoi sogni ed incubi
Senti storie ascolti idee
Ogni lampo è carico
Ma solo dentro te

Solo un passo solo tra
Uno sguardo e un'iride
Solo un velo ed è follia
Il tuo sguardo è un'isola

Lete Sorte Insana Arte
Vestale di ogni soglia

30 ottobre 2015

Quel che sa di casa

Quel che "sa di casa" è il vero antidoto all'omologazione, ma non solo riguardo al cibo.
Non solo i sapori e gli odori, gli aromi e gli effluvi, ma anche i gesti e le abitudini, le consuetudini e perfino le manie, grandi o piccole, purché "sappiano di casa", aiutano a definire e delineare, a caratterizzare individualità riconoscibili. Al di là degli affetti, le fortune di ogni personalità saranno coadiuvate dalla presenza di un substrato forte, tanto più forte se stratificato.

I limiti che tutto ciò sembra portare con sé e convogliare nel tracciato futuro dei singoli esseri umani in crescita costituiscono in realtà percorsi facilitati e rappresentano ancoraggi di sicurezza. Paletti o steccati presenti ma non per questo invalicabili, validi nella misura in cui scaturiscano da autenticità sperimentate anziché da dogmatiche astrattezze.
In un modo o nell'altro, quel che "sa di casa" ti aiuterà a essere l'essere che vorrai saper diventare.

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bonus: Neil Young, Homegrown

18 ottobre 2015

Il bello di internet

Il bello di internet è... in realtà, ce ne sono tanti. Comunque, in questo momento mi sento di dire che il bello di internet è soprattutto imbattersi per caso in qualcosa di strepitoso e poterlo condividere quasi immediatamente, confidando però che possa essere fruito anche in seguito (per intenderci: ho detto il bello di internet, non di facebook).

Oggi per me tale funzione è svolta da uno scritto trovato per una serie di rimbalzi imprevisti. Si tratta di un pezzo scritto da Rafael Zoehler: When I'm Gone.
La versione in cui mi sono felicemente imbattuto è quella tradotta in italiano da Monica Cainarca: Quando non ci sarò più.
Buona lettura.

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bonus: Patti Smith, Gone Again

16 ottobre 2015

Lassi e lacci

Finestre temporali troppo brevi per realizzare alcunché di produttivo, intervalli cronologici dai margini troppo risicati per organizzare alcunché di sbrigativo, manciate di minuti che si consumano a decine in un limitare che sembra predestinato all'oblio da sciacquone: lassi di tempo non cumulabili con altre offerte.

È necessario, perfino indispensabile, dilatare il tempo: quello che ci si è presi per non lasciarcisi prendere, quello dispoticamente destinato a qualcosa d'improcrastinabile, alla faccia d'ogni procrastinazione.

Per farlo, occorre fermarsi. Né più, né meno: fermarsi un giro, lasciar perdere qualcosa per ritrovare altro; rinunciare senza timore a un'occasione di divertimento presunto per favorire la serenità futura. Non sto parlando di massimi sistemi, ché il ragionamento vale pari pari per delle minuzie e l'effetto positivo si concreta anche solo restando a casa una sera a lavare i pavimenti.

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bonus: Pink Floyd, Time

02 ottobre 2015

Un'altra zuccata

Ieri ho picchiato la testa, ma forte, contro il contatore del gas. Avevo poggiato un piede sulla sedia per prendere una cosa in cima al mobile della cucina e sono andato a incocciare con tutto lo slancio in quell'aggeggio che sarà sempre stato lì, non lo metto in dubbio, ma che ieri m'ha sorpreso affatto e violentemente sbarellato. Ho sentito un crac e pensavo di essermela spaccata, la testa, invece allo specchio ho constatato che ci era solo cresciuto un grosso bernoccolo, rosso e allungato tra cranio e fronte, sulla sinistra.

Rintronato, dolorante e un tantino preoccupato, prima ancora di procurarmi il ghiaccio da appoggiarci sopra, il pensiero è corso al mio amico Gilgamesh, perché il suo massaggio terapeutico mi sarebbe servito come e più di quella volta in Sardegna, quando andai a sbattere la zucca sull'architrave di un nuraghe a Barumini. Delle sue cure invece devo fare a meno e purtroppo in questo caso non si tratta solo di distanza chilometrica, ma siderale.

Distanze siderali, distanze temporali... Cosa siano i mesi o gli anni non sappiamo, se non frazioni disomogenee di una suddivisione arbitraria di casi o apparenze o eventi o coincidenze. Frazioni o frammenti di tempo. Frammenti, come il titolo di un raccontino che scrisse proprio il mio amico Fabrizio De Santis, “Gilgamesh”, ora presumibilmente fuori dal tempo. Dico bene, goppai?

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bonus: Ottavo Padiglione, Ho picchiato la testa


a cura di Giulio Pianese

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