05 agosto 2016

Il mio Trentino

Ieri sera, dopo qualche partita intergenerazionale a briscola, una breve passeggiata in cui quasi ogni passo ripercorreva le orme di ricordi ripetuti su e giù per le viuzze del paesino, Castello di Fiemme, quindi la buonanotte con il proposito di un giretto a piedi oggi. Oggi, però, piove, parecchio, quindi le escursioni montane sono procrastinate, si spera solo di ventiquattr'ore.

La voglia è quella di replicare e moltiplicare i bei giri di luglio, quando qui in val di Fiemme ero salito per festeggiare il compleanno di mia mamma e il mio.

Il primo giorno salimmo in zona Pale di san Martino: ascesa rapida al Castellazzo con mia sorella mentre i genitori ultraottantenni ci aspettavano alla Baita Segantini, dov'erano saliti con la navetta. Per rientrare al Rolle, però, fecero metà strada a piedi (mia mamma addirittura dal sentiero).

Il pranzo di compleanno della mamma lo prenotammo al passo Lavazè, dalla Maria. Prima però andammo agli Oclini, dove io e mia sorella Teresa facemmo una toccata e fuga sulla cima del Corno Bianco, che offre il miglior rapporto qualità/prezzo, per così dire, considerando che una cinquantina di minuti di fatica vengono ripagati da un panorama a 360 gradi che abbraccia il mondo: in una giornata serena, lo sguardo spazia, tra l'altro, fino a Corno Nero, Pala Santa, Latemar, Catinaccio, Sciliar, i ghiacciai alpini fino all'Austria e, dall'altra parte dell'Adige, le dolomiti del Brenta.

Il terzo giorno, alla vigilia del mio 53° compleanno e nonostante la vescica sul calcagno destro, aderii all'invito di mia sorella e di un nostro amico d'infanzia, Alberto C., per un'escursione un po' più impegnativa in termini di fatica. Accettai il consiglio di usare i bastoncini, che negli anni passati avevo sempre sdegnato, e dal Gardeccia (1.949) al Vajolet (2.243) fu ordinaria amministrazione. Dopo un cambio di maglietta, proseguimmo fino al Passo Principe (2.600), dove però arrivai qualche minuto dopo di loro e, non intendendo rallentarli ulteriormente, li invitai a proseguire senza di me, ipotizzando di rivederli sulla via del ritorno. Invece, dopo qualche esercizio per i piedi, ripresi coraggio e voglia e ricominciai a salire, con l'intenzione di raggiungere almeno la forcella sovrastante. Arrivatoci, pensai che mi sarei potuto allungare a vedere il passo Antermoia (2.770) e ne valse la pena. A quel punto, m'incamminai verso la cima Scalieret (2.889), senza nemmeno sapere bene il cammino da seguire. A un dato momento incrociai uno skyrunner (quei superatleti o superpazzi che corrono su e giù anche per le vette più impervie) che mi confermò di trovarmi sul percorso giusto. Loro stavano già ridiscendendo, a causa del vento troppo impetuoso, ma si fermarono ad aspettare che anch'io raggiungessi la meta.
Lasciai lì lo zaino e i bastoncini e proseguii camminando in cresta e assaporando il silenzio, o meglio, il canto delle montagne. Il vento si era placato e così rimasi un po' lì, incantato a guardare, ad ascoltare, a sentire, a sentirmi pieno di gratitudine e godimento. Capisco quelli che iniziando a inerpicarsi o addirittura ad arrampicare poi non riescono più a farne a meno, perché quelli sono momenti perfetti, di unicità e completezza, di annullamento e rinascita, di bella essenzialità, come orgasmi dell'anima, insomma.
Sulla via del ritorno, attraversando il ghiaione subito dopo passo Antermoia, provai uno spavento che mi fece sbucciare il ginocchio: tum, tum, tu-tutum, bum tum bubububububum tutum... una gragnuola di pietre che franava dai roccioni incombenti rimbalzando come i proiettili di un film d'azione, io che scartavo di lato per scappare, non capendo quanta roccia eventualmente sarebbe caduta giù. Non è stato niente di grave, per fortuna, ma un piccolo promemoria di quanto sia opportuno ringraziare la montagna ogniqualvolta ci permetta di salirle in groppa.

Il giorno dopo, come ogni 18 luglio ho compiuto gli anni, ma non mi sono sentito vecchio: d'altronde, finché ci si sbuccia le ginocchia, si è bambini, no?

Catinaccio d'Antermoia 17 luglio 2016

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a cura di Giulio Pianese

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